FOGLIANO DI REDIPUGLIA
“Bisogna camminare sulle alture che sovrastano la Bisiacaria, attraversando una trincea austriaca e percorrendo un tracciato che arriva fino ad una piccola landa carsica, li domina il Sass de San Belin, o Sass del Belin, ma c’è da giurare che nel corso dei secoli abbia assunto ben altri nomi. Siamo nella zona dell’antico castelliere di Borgo Cornàt, sopra le ultimi pendici di Fogliano. La borgata è appunto quella di Borgo Cornàt; case al limitare della landa carsica proprio sotto il Sass. Questo grande blocco calcareo che dal Carso domina la pianura isontina e l’abitato di Fogliano dopo un lungo oblio seminascosto dalla vegetazione è di nuovo fruibile, pronto a dare risalto alla sua storia millenaria. La leggenda vuole che risalga addirittura all’antichissima epoca celtica quale ara sacrificale al dio Beleno, un luogo mistico e magico su cui nelle epoche si sono radunate streghe e maghi, scolpito e modellato impersonando sul lato orientale il volto del dio Beleno (da cui il nome San Belin) e sul lato occidentale la testa di una donna velata, simbolo pagano che proteggeva le messi dei campi e gli animali allevati dal popolo carsico. A chiedere al Comune di intervenire per salvare e valorizzare un monumento conosciuto solo a livello locale era stato nel settembre di due anni fa lo storico Giorgio Geromet. Il sindaco di Fogliano Antonio Calligaris aveva accolto la richiesta e una volta ottenuto il nulla osta dalla Protezione civile e dalla Forestale, a liberare fisicamente quello che considerato un altare dalle sterpaglie e a disegnare un sentiero di cinquecento metri che parte da via Ulivi sono stati i cugini Luciano e Claudio Visintin (nel particolare il primo, ormai identificato come “Cianela il Custode”). La prima parte del tracciato costeggia una vigna per poi passare sotto gli alberi. Qui comincia una leggera salita. Attraversata una trincea austriaca, si apre la landa carsica punteggiata di bianco. A dominare questo spazio vuoto proprio il “Sass de San Belin” con il suo antico fascino.
LA LEGGENDA
Sembra che questa roccia abbia ispirato molte fantasie presso la popolazione locale. In quella sorta di insenatura carsica che si estende tra il colle di Santa Maria in Monte e il Monte Riva di Polazzo, dove la terra più fertile ed è sorto fin dai tempi immemorabili il primo nucleo del villaggio di Fogliano (“Cornat”) si sono annidate anche leggende in relazione a strani fenomeni naturali propri del Carso, che qui più che altrove sfoga le sue bizzarrie in forme curiose e sempre interessanti non solo per il geologo, ma anche per lo storico che raccoglie le memorie paesane e si avvale della leggenda come elemento integratore della storia e della tradizione locale. Carlo Luigi Bozzi, in uno scritto inedito di 25 anni fa, descriveva la possibile storia sul “Sasso di San Belin”: “Una specie di ara alta circa 3 metri, con un ripiano sopra a modo di rozza mensa d’altare, dove la pietra sembra egregiamente squadrata e ricavata da un masso calcareo più grande, strapiombante su un semicerchio di pietrame di minor mole che da l’idea di una platea appositamente allestita per una piccola folla di spettatori”. San Bellino o Sanbelin ci richiama al dio aquileiese Beleno, di origine orientale e adottato dai Celti (forse anche dai Protoveneti), dio del sole e della luce e identificato con Apollo dai Romani che ai Celti e ai Veneti subentrarono nel possesso del paese con la fondazione della colonia di Aquileia nel 181 avanti Cristo. Poteva forse trattarsi di una pietra sacra intorno alla quale si svolgevano dei riti religiosi veneti e celti nell’epoca pre-romana. Secondo la tesi esposta da Geromet, il Sasso è stato modellato da uno scalpellino aquileiese, il grande blocco calcareo (nota lo studioso) presenta dal lato di levante il volto del dio Beleno, mentre il lato di ponente mostra la testa di una donna velata, probabile simbolo pagano che assicurava fertilità ai campi e agli animali del popolo carsico. Sergio Vittori (Nel ricco libro “Fogliano, Palazzo, Redipuglia” edito nel 1991 dal Comune di Fogliano) scrive che nei pressi del masso, in epoca antichissima, forse era situata una ara dedicata al Dio Beleno, “dalla notte dei tempi fino agli inizi del novecento si davano convegno streghe e demoni per il Sabba, il convegno orgiastico di demoni e streghe presieduto da Satana nelle saghe germaniche”. Arrivando al IV secolo d.C. siamo nell’epoca in cui il papa San Giulio I fissò nel nuovo calendario il Natale al 25 dicembre anziché al sei gennaio com’era prima, e proprio nel sesto giorno del nuovo anno si accendevano fuochi per onorare il dio Beleno, fuochi che ancora oggi si accendono sul Carso il cinque di gennaio di ogni anno: sono le antiche “Seime” bisiache. Al Sas è poi abbinata la più recente storia di Giuseppe, giovane foglianese innamorato della bella fanciulla Marietta poi rivelatasi una vecchia strega prodiga dedita ad oscuri riti sotto al Sas cui partecipavano le giovani di Marcottini, Dobedò e San Martino, saputa la verità il giovane finì per essere da lei ucciso. Quest’ultima storia è probabilmente un racconto narrato al tempo per incutere paura ai giovani ed evitare che le persone si recassero al Sas ad adorare dei pagani. Vecchia storia legata al nome del Sas è anche quella per cui si narra che il Sas fosse la pietra preferita da Belin, vecchio pastore sloveno di carnagione e capelli bianchi, che da li controllava il bestiame e che, invocando il dio Beleno col sacrificio di un agnello a primavera, ne chiedeva l’aiuto per proteggere appunto il suo gregge.
IL DIO BELENO
Belenos (Bel o Belenus o Belinus) Beleno (Belin). Belenos = lo splendore, il pulito, il dio del sole (Galli). Epiteto dell’Apollo dei Galli. Il Dio collegato al fuoco come elemento trasformatore. Dio della luce, protettore delle pecore e del bestiame. Sua sposa la dea Belisama. Sono figure assimilabili alle divinità classiche Apollo e Minerva. Assimilabile al Dio irlandese Lugh, e al Dio Gallese Llew. Beleno (Belin), dunque, è il Dio solare e luminoso, protettore delle pecore e del bestiame, ed è ritenuto uno degli antichi dei celtici più diffusi in Europa. Il poeta gallo-romano Ausonio di Bordeaux nel VI sec d.C. afferma che anche a Bordeaux, oltre che ad Aquileia e in altre zone d’Europa, c’era un tempio dedicato al Dio Beleno. Belisama o Belasama (Britanni) è la dea “molto brillante”, epiteto dato alla Minerva gallica. Dea del fiume Ribble presso le tribù britanne. Sposa di Beleno. Belisama = la dea splendente, la luna. Beleno è una divinità panceltica, il cui culto sempre associato alle acque, ai complessi termali, alle pratiche di medicina e all’oracolo. Beleno è il dio della rinascita. Esiste un profondo legame tra Aquileia e il culto di Beleno, tanto che si può affermare che questa doveva essere la principale divinità aquileiese. Tra l’altro Aquileia non era nuova a sincretismi culturali, data la sua posizione chiave (fin dall’epoca preistorica) nel crocevia tra l’area altoadriatica ed il mondo norico, retico, pannonico, danubiano. Il culto di Beleno pare attestato sino al VI secolo dopo Cristo in area aquileiese. E’ un dio legato all’acqua e al tema della rinascita: e il culto in area aquileiese di San Giovanni Battista, attestato anteriormente all’anno 390, può forse essere considerato una derivazione sincretistica di quello del dio celtico. Beleno è inoltre il dio della luce, del sole, della conoscenza, come Apollo. Ma anche come Mithra o Cristo, ambedue ben presenti nel mondo aquileiese. => [Beltaine] Questa parola è celtica e significa “fuoco” e viene collegata al dio Beleno, venerato nella Gallia sud-orientale, in Italia settentrionale, nel Norico. In Friuli è stata chiaramente individuata: sono state contate 54 epigrafi scoperte in Aquileia e dedicate al dio Beleno (I-III secolo dell’impero), altre epigrafi sono state rinvenute a Barbana, nella Laguna di Grado, a Concordia e a Zuglio in Carnia. => [Beleno e Belluno] Non è un caso se l’antico nome di Belluno è tradotto “Città Splendente”, con riferimento non solo alla divinità celtica Beleno, dio del Sole, ma anche alle chiare acque che la lambiscono (Beleno era protettore delle acque).
REALTA’ O MITO?
La fama del Sas è probabilmente dovuta alle sue dimensioni imponenti, inusuali rispetto ad altre fenomenologie analoghe presenti in territorio carsico, ciò ha dato origine ad innumerevoli leggende molto suggestive sulla storia di questo luogo: diavoli e streghe collegati a feste orgiasti che, origini divine ed utilizzi cerimoniali, pirati e tesori (nei pressi del Sas si troverebbe la caverna segreta dove sarebbe ancora custodito il tesoro del “pirata” Musmezzi, trafugato nel 1877 da palazzo De Calice di Farra d’Isonzo), profili di dei e di donne velate, luogo sacrificale con vasca di raccolta del sangue delle vittime di grossi animali. Riguardo questo ultimo punto alcuni evidenziano il fatto che tale vasca è grande e che quindi anche le vittime devono essere state tali, inclusa la presenza di una canaletta di scolo scolpita in modo che il sangue non scorresse sul volto del dio scolpito al di sotto, ma scivolasse dietro e di lato. Tutto ciò si scontra contro un approccio più sobrio che invece vedrebbe il Sas scolpito da fenomeni naturali di carsismo epigeo molto spinto più che dalla mano dell’uomo, e ciò senza nulla togliere al fatto che esso possa essere stato preso di riferimento dalle popolazioni locali per le celebrazioni di riti vista la suggestione notevole di cui il luogo è permeato. Il confronto tutt’ora in atto è quindi tra visioni più suggestive e fokloristiche e visioni più scettiche per quanto riguarda i fenomeni visibili in loco.
CARSISMO
Sugli affioramenti calcarei presenti nel sito conosciuto come “Sass de San Belin” è interessante osservare la presenza di un’intensa carsificazione superficiale. Sono presenti, infatti, diverse microforme carsiche molto significative e alle volte estremamente didattiche. La stratificazione suborizzontale, particolarmente evidente in questo punto, ha favorito la loro genesi. Ci sono in loco diverse altre microforme molto belle che da sole giustificherebbero la valorizzazione di questo geosito. In effetti sono presenti, facilmente rinvenibili e riconoscibili, praticamente tutte le forme di corrosione superficiali classiche. Le testate di strato, costituite da calcari puri e compatti, presentano infatti scannellature (Rillenkarren), solchi (Rinnenkarren o Wandkarren), vascette di corrosione o kamenitze con le varianti conosciute quali coppelle, a vasca semplice, policicli che, a nidi, innicchiate, e fori di dissoluzione. In moltissimi casi è possibile seguire il percorso del flusso d’acqua attraverso una sequenza pressochè completa di serie di fenomenologie dissolutive, sino allo sgocciolamento in presenza di morfologie strapiombanti ed alla ripresa dell’azione corrosiva su morfologie immediatamente sottostanti alquanto inclinate. Tutto ciò rende il sito una zona di grande interesse e valenza naturalistica.
FONTI
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